Ordinanza Cassazione (610):Sulla inderogabilità dei doveri di vigilanza e controllo da parte del datore di lavoro – Sezione VII penale – n. 33446 del 24 luglio 2019

Una brevissima ordinanza della Sez. VII penale della Corte di Cassazione questa in commento che ci ricorda come sia inderogabile l’obbligo che il datore di lavoro ha di vigilare e controllare sull’applicazione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e che lo stesso sia comunque delegabile, in applicazione dell’art. 16 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, fermo restando l’obbligo in capo al datore di lavoro stesso delegante di vigilare sul corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Lo ha fatto la suprema Corte nel decidere su di un ricorso presentato da una datrice di lavoro che era stata condannata dal Tribunale perché ritenuta responsabile di alcuni reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che nel ricorso aveva sostenuto, a sua difesa, di avere delegato i profili organizzativi relativi alla sicurezza ed al controllo dei lavoratori dell’azienda a figure specializzate ragion per cui nei suoi confronti non poteva essere mosso alcun giudizio di imprudenza.

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione perché basato su un motivo manifestamente infondato. Accertata la qualifica di datrice di lavoro in capo all’imputata, ad essa consegue la posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori, quale obbligata alle prescrizioni dettate per la sicurezza del luogo di lavoro e, quindi, la correlata responsabilità per violazioni delle norme antinfortunistiche; né, ha precisato la Sez. VII, è risultata accertata nel giudizio di merito la sussistenza di una delega di funzioni ai fini della sua esenzione da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica.

In conclusione quindi, la Corte di Cassazione, rilevato che, nella fattispecie, non sono emersi elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle Ammende.