SENTENZE CASSAZIONE PENALE
La Corte ha condannato un capocantiere per reato di omicidio colposo:
Novembre 2028, “UN lavoratore dipendente che aveva avuto in appalto lavori di manutenzione all’interno di una centrale elettrica, è precipitato a terra da un “riscaldatore d’aria” che era oggetto di manutenzione ed è deceduto dopo quindici giorni per le gravi lesioni riportate.”
I Giudici di merito avevano accertato che la vittima era all’interno della parte alta del macchinario riscaldatore e che era munita di casco protettivo e di maschera antipolvere ma non era fornita di maschera antigas e cintura di sicurezza (dotazioni che però erano espressamente prescritte dal P.O.S.) e che, dopo avere avvertito un malore a causa della mancanza d’aria, è caduto giù da un’altezza superiore a due metri.”
Si è ritenuto che il rischio da “ ambiente confinato” era espressamente previsto nel P.O.S. E ciononostante il lavoratore non era stato sottoposto a visita medica per valutare l’idoneità a svolgere lavori in ambienti confinati, non aveva seguito un corso di formazione specifico per la peculiare attività lavorativa che doveva svolgere, non era stato munito di tutte le dotazioni di sicurezza necessarie (maschera antigas e cintura di sicurezza) e e non era ancorato ad un punto fisso.”
La Cassazione ha rigettato il ricorso del capocantiere confermando la condanna per “non avere l’odierno ricorrente, nella qualifica pacificamente rivestita di capo cantiere, controllato che il lavoratore dipendente M.V. fosse idoneo e preparato per l’attività rischiosa da svolgere in ambienti confinati e che fosse provvisto dei necessari mezzi di protezione individuale (mascherina con filtro specifico e cintura di sicurezza ancorata a punto fisso, che non sono stati trovati sul luogo dopo il fatto né risultano essere stati forniti), la cui assenza è stata riconosciuta in diretta correlazione causale con l’incidente mortale”.
Un altro esempio: due anni prima era stata confermata la condanna di un legale rappresentante di una società, per omicidio colposo, “per avere causato, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all’art.66 d.lgs.81/2008, la morte – per insufficienza multiorgano post ipotermia accidentale – di R.B., che, entrato nella cella di surgelazione I.Q.F. n.6 e, in particolare, nell’apertura di ispezione, a seguito di malore, non era in grado di rispondere al collega L.D., il quale, provvedeva a chiudere la porta aperta, ritenendo che la cella fosse vuota, prima di avviare nuovamente l’immissione di azoto.”